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Era l'alba del 17
dicembre 1944 quando la 1a compagnia Gurka entrò a Faenza da Porta
Montanara dopo aver passato la notte nel cimitero dell'Osservanza. Nei
giorni precedenti c'era stata una furibonda battaglia nella zona di Celle
che aveva costretto i tedeschi a ritirarsi sulla linea del fiume Senio.
Da quel momento Faenza era libera. Cominciava per tutti i faentini un
nuovo periodo pieno di incognite, ma era, comunque, la fine di un incubo
e rinasceva la speranza.
Gli alleati, inglesi, polacchi, gurka, indiani, maori, neozelandesi, canadesi,
ebrei, ed altri ancora, soggiornarono a Faenza fino all'offensiva di primavera
dell'11 aprile 1945. Durante l'inverno provvidero a ricostruire i ponti
fatti saltare dai tedeschi (in primo luogo quello della ferrovia, costruito
dalla compagnia ebraica e completato il 10 aprile 1945), o a sostituirli
con ponti Baley (ad esempio in Borgo, a Ronco, a Marzeno), e recuperarono
immediatamente la Route 9, ossia la via Emilia, che provvidero a lastricare
con dei ciottoli prelevati, grazie ai nuovi mezzi di cui disponevano,
dalle macerie delle case del Borgo distrutte dai bombardamenti. L'utilizzo,
per la prima volta nella nostra città, delle macchine "movimento
terra" (o caterpillar), destò molta impressione, ed alcuni
di essi vennero lasciati qui dagli alleati e usati in seguito per il lavoro
dei campi.
Il passaggio del fronte nella nostra zona apportò sensibili cambiamenti
nello stile e nelle condizioni di vita dei faentini. Come in tutta Italia,
anche a Faenza, durante l'occupazione alleata poterono essere facilmente
reperiti sia nuovi ritrovati tecnologici, sia una gran quantità
di beni di prima necessità, che aiutarono molto le popolazioni
colpite a risollevarsi dopo il passaggio della guerra. In effetti, cose
per noi oggi apparentemente banali come la penicillina, i caterpillar,
la carne in scatola, la cioccolata ed i biscotti, che gli alleati portarono
con sé e che distribuirono in grande quantità alla popolazione
civile, rappresentarono allora grandi novità, risultando determinanti
per la sopravvivenza di molti faentini. In questa sezione vogliamo riportare,
e tentare di analizzare, alcune testimonianze di nostri concittadini intervistati
in merito ai loro rapporti con gli alleati nella vita di tutti i giorni
di quel terribile inverno del 1944/45.
Partigiani
e Alleati
Intervistando il signor
Casanova Battista, siamo riusciti ad avere importanti informazioni per
quanto riguarda i rapporti fra gli alleati ed il Fronte di Liberazione
Nazionale, o meglio, fra gli alleati e la ORI (Organizzazione Resistenza
Italiana), alla quale il sig. Casanova aderì poco dopo l'8 settembre
1943. Gli alleati, già da prima della liberazione, collaboravano
con le organizzazioni partigiane che operavano sulle colline fra Modigliana,
Brisighella e Marradi, eseguendo lanci di armi e munizioni dagli aerei
e, proprio in occasione di uno di questi sul monte Lavane, i partigiani
della ORI ingaggiarono una violenta battaglia contro i tedeschi e le unità
fasciste che volevano impedire loro di riarmarsi.
In seguito alla liberazione della città, Casanova si trovò
ad organizzare, a stretto contatto con gli alleati, la gestione degli
interventi "di prima necessità", ossia la messa in funzione
di quelle infrastrutture provvisorie necessarie per assistere i civili
che tornavano dalle campagne dov'erano sfollati e che, spesso, trovavano
la loro casa distrutta, completamente od in parte, dai bombardamenti.
Per questo, venne istituito un ente, una sorta di "catasto provvisorio",
che ebbe come compito quello di censire i danni subiti dagli edifici cittadini
e di confiscare le abitazioni appartenenti agli ex - gerarchi fascisti.
Inoltre venne fornita assistenza sanitaria, e questo particolare è
importante, al di là degli ovvii benefici che portò ad una
popolazione stremata, perché proprio con l'arrivo degli alleati
si sperimentarono per la prima volta anche a Faenza, rimedi come la penicillina,
che non erano ancora largamente diffusi.
In particolare Casanova si trovò a dover allestire una mensa pubblica
(detta "mensa partigiana") nei pressi di quella che è
oggi la sede della sezione scientifica del nostro Liceo. Tale mensa veniva
approvvigionata soprattutto grazie al contributo degli alleati, che fornivano
scatolame e altri generi alimentari, ma anche per mezzo di piccole donazioni
in natura da parte dei contadini della zona (a questo proposito mi ricordo
che il mio bisnonno, Giuseppe Laghi, agricoltore, era solito dire: "Dopo
la guerra le case erano crollate, e molta gente non aveva più niente;
nei campi c'erano i buchi delle granate, ma la terra c'era ancora e poteva
ancora produrre"). Per cercare queste "offerte" si partiva
da Faenza con un mulo e si faceva il giro della campagna circostante,
percorrendo ogni giorno una zona diversa.
Casanova ricorda che tutti quanti gli alleati erano bravi soldati. Ha
però sottolineato la violenza dei polacchi, comandati dal generale
Anders, i quali spesso si lasciarono andare a violenze gratuite ed immotivate.
Un giorno, per esempio, durante una "festa" organizzata nella
mensa "partigiana", alcuni di loro vi fecero irruzione lanciando
una bomba a mano, mentre in un'altra occasione, assaltarono il Circolo
Socialista a colpi di rivoltella e fucile. Ma anche gli indiani furono
visti da Casanova violentare una donna.
Un episodio particolare. Accadde, subito dopo la liberazione di Faenza
(era il mese di dicembre), che un reparto di Gurka o forse di Maori (comunque
soldati di etnia non europea), si stabilisse nell'odierno municipio. Passando
lì sotto, lungo c.so Mazzini, Casanova vide del fumo uscire dalle
finestre aperte. Insieme ad un ufficiale inglese, anche lui di passaggio,
salì a vedere e scoprì che quei soldati avevano smontato
le finestre di legno e ne avevano fatto un falò al centro della
Sala delle Bandiere, rischiando di rovinarne per sempre il soffitto affrescato.
Con un po' d'insistenza riuscirono a farli desistere dal loro intento
e li fecero traslocare in una sede meno "delicata".
L'incontro
Don Giuseppe Rotondi
nacque nel 1914 e nel '37 fu ordinato sacerdote. Fu assegnato alla parrocchia
di S. Martino, situata sulle colline fra Faenza e Forlì. Durante
i primi attacchi alleati sulla linea della Cosina e del Montone, precisamente
l'11 novembre del 1944, egli si trovava in chiesa a celebrare la messa,
quando cominciarono i bombardamenti d'artiglieria. Erano i cannoni della
8a armata che facevano fuoco di sbarramento per permettere alla fanteria
di avanzare. Mentre i fedeli fuggivano dalla chiesa, lui volle rimanere
e terminare la funzione. Sentiva le bombe che cadevano anche molto vicino,
facendo tremare le pareti. Terminata la funzione scappò, andando
a rifugiarsi insieme agli altri in uno scantinato sotto la canonica, quando
una bomba centrò proprio l'altare sul quale, pochi secondi prima,
stava celebrando.
A seguito dell'avanzata alleata gli capitò anche di dover ospitare
truppe germaniche in ritirata. Insieme ai tedeschi vi erano anche dei
polacchi che avevano "scelto" di combattere al loro fianco.
Poco prima di sgomberare, durante l'ultima notte che i tedeschi avrebbero
passato lì, arrivarono gli alleati. Don Rotondi si trovava con
alcuni militari e un ufficiale nel rifugio sotto la canonica, quando entrarono
e li fecero uscire tutti con le mani in alto. L'ufficiale che comandava
i tedeschi fece appena in tempo a nascondere la sua rivoltella in cima
a un mobile, per non venir riconosciuto come graduato. Dopo che gli alleati
si furono informati su quanti tedeschi fossero passati di lì in
precedenza, accadde un fatto straordinario; mentre risalivano le scale
per uscire dallo scantinato, un soldato del contingente alleato e uno
di quello tedesco si guardarono, scoppiarono in lacrime e si abbracciarono:
erano due fratelli polacchi che combattevano uno contro l'altro, che la
storia aveva separato e, ora, così straordinariamente, riunito.
Questo fatto, pur eccezionale, non fu isolato. Spesso si verificarono
scene simili fra le file dei partigiani e dei "repubblichini":
la lontananza da casa, la mancanza di contatti, potevano giocare questi
"strani" scherzi.
In seguito a questo episodio Don Giuseppe si trasferì a Montefortino
ed a causa della mancanza dei beni di prima necessità cercò
aiuto presso gli alleati, chiedendo scatolame alle camionette che passavano
da quelle parti, oppure recuperando ciò che i soldati lasciavano
durante la loro avanzata. Ci ha detto che gli alleati erano molto generosi,
e, soprattutto per quanto riguardava il cibo, facevano di tutto per aiutare
i civili, che mancavano di ogni cosa, al punto che venivano usate le tende
delle case per fare i vestiti.
Ospitare
i Polacchi
Abbiamo raccolto anche
la testimonianza della sig.ra Rondinini Maria Luisa, che nel '44 aveva
14 anni. Sfollata con tutta la famiglia nel territorio del comune di Brisighella,
convisse con i polacchi per tutto l'inverno, fino al febbraio del '45.
La casa dove viveva era la casa Camerini di S. Mamante di Coriano che
fu requisita dal comando di zona alleato per allestirvi il proprio quartiere.
La prima volta che vide un militare alleato fu il 16 dicembre 1944. Costretta
ad uscire dalla cantina - rifugio, insieme a tutta la famiglia, da una
pattuglia in avanscoperta, li vide avanzare, disposti in file orizzontali,
nei campi "arati" dalle bombe e dalle granate di mortaio, con
il fucile mitragliatore Thompson spianato e pronto al fuoco. Intorno e
sulle colline bruciavano i letamai ed i fienili delle case coloniche.
Parlavano polacco, ed avevano dai 25 ai 45 anni. La loro divisa era color
kaki, e portavano l'elmetto ricoperto di rete. Non si potevano distinguere
gli ufficiali dalla truppa, perché tutti indossavano la stessa
uniforme, probabilmente per evitare di venire presi a bersaglio dai cecchini
tedeschi. Avevano una gran quantità di mezzi, soprattutto carri
armati, camion e jeep ed in cielo volavano bassi gli aerei da ricognizione
che, secondo le parole della signora, "fotografavano noi tutti allineati
vicino ai muri di casa". Questi soldati facevano parte del contingente
polacco che era riuscito a fuggire dalla patria a seguito dell'invasione
tedesca, e poi anche russa, del settembre '39, tanto che alcuni di loro
venivano addirittura dai lontanissimi campi di lavoro della Siberia.
Nei primi giorni di occupazione non ci furono rapporti particolarmente
stretti, perché tutta la famiglia fu ricondotta in cantina, mentre,
ai piani superiori della casa, i soldati "requisivano" quanto
era di loro gradimento. Nei giorni seguenti le relazioni migliorarono
e furono poi sempre buone, tanto che vennero invitati a partecipare, insieme
ai militari polacchi, alla SS. Messa di Natale, che si tenne nella grande
sala del primo piano, con preghiere e canti in latino.
Nella casa c'erano 13 ragazzi. Dall'intervista risulta che la cosa che
più li stupì degli alleati era la disponibilità che
avevano di una gran varietà di cibo ed anche il fatto che riuscivano
ad essere sempre puliti ed in ordine, pur in mezzo a tante difficoltà.
In questa intervista, la prima ed ultima tra quelle da noi effettuate,
risulta che i polacchi furono sempre gentili e, sia i graduati che i semplici
soldati, si comportarono con tutti gli abitanti della casa in modo più
che corretto. Offrivano regolarmente sapone e sigarette, che il nonno
della signora si fumava nella pipa. Una cosa che colpì molto i
ragazzi furono anche i montgomery bianchi che i militari indossavano per
mimetizzarsi sulla neve, quando uscivano la notte di pattuglia,.
La famiglia continuò per buona parte del tempo a vivere in cantina.
Più che altro era la paura delle granate, che caddero con regolarità
fino al 20 aprile, a dissuaderli dal dormire ai piani superiori. I soldati
ogni tanto chiedevano qualche favore agli abitanti della casa, e, per
quanto possibile li si accontentava, ed essi erano molto riconoscenti.
Erano molto aperti nel raccontare della loro vita, delle loro famiglie,
di cui non avevano notizie da ormai troppo tempo. Si rivolgevano con affetto
sia alle mamme, sia ai bambini più piccoli, deplorando ripetutamente
la guerra. Impararono, con il tempo, a parlare un italiano stentato aiutandosi,
nell'esprimersi, con i gesti. Vi erano anche soldati inglesi che spesso
venivano da altre zone al Comando per fare rapporto e portare ordini,
e da questi soldati la signora ed i suoi familiari ricevevano notizie
e saluti dai parenti che vivevano sfollati in case lontane.
Nel febbraio del 1945 ci fu un avvicendamento dei reparti sul fronte del
Senio ed i soldati italiani della divisione "Friuli" presero
il posto della compagnia polacca. Gli italiani erano comandati da ufficiali
inglesi, che, stando a quello che riferisce la Rondinini, passavano le
giornate bevendo the e mangiando sandwich imbottiti con formaggi vari
e salumi cotti in scatola, stuzzicando continuamente il forte appetito
dei bambini. L'attendente italiano che li preparava, insieme alla madre
della signora e alla zia, non mancava però di farli partecipi di
buoni spuntini.
Nel mese di marzo, venne in visita alle truppe sul fronte del Senio, il
principe Umberto di Savoia: aveva la barba lunga e il viso accigliato.
La mamma e la zia della signora Rondinini, su richiesta degli ufficiali,
gli offrirono un "caffè di guerra" nel loro salotto.
Quando uscì, con loro grande costernazione, videro che alcuni militari
italiani, dalla finestra del primo piano, sputavano sul principe e gli
urlavano epiteti tremendi. I bambini, educati ad un alto rispetto verso
l'istituzione monarchica, non capirono il perché di quei comportamenti
che giudicarono riprovevoli.
La signora afferma poi, che, per quanto riguarda la sua esperienza, la
convivenza con i soldati italiani risultò negativa e, a volte,
perfino pericolosa Un colonnello toscano cercò di "disturbare"
sia sua madre, sia le sue due sorelle più grandi, per cui, non
potendosi fidare nemmeno degli ufficiali, ci si muoveva sempre in compagnia,
e la signora conclude dicendo che fu "un'esperienza davvero disdicevole:
né i tedeschi né gli alleati stranieri ci avevano mai procurato
questo tipo di preoccupazione".
L'arrivo
del Jazz
Tra le varie interviste
fatte, quella al sig. Todeschini ci ha fornito notizie particolarmente
significative sull'arrivo degli alleati e, soprattutto, sui cambiamenti
che il loro passaggio ha portato nella vita e nei costumi dei faentini.
Todeschini è nato nel 1923, ed è, fin dalla giovinezza,
un grande appassionato ed interprete di musica jazz. Ai tempi del regime
fascista tale musica era ufficialmente vietata (dalla Germania arrivò
il Verboten Swing, una legge che proibiva i ritmi americani), sebbene,
ogni tanto, si chiudesse un occhio concedendo un concerto. Fu in questo
modo, che, nonostante i divieti ufficiali, il Nostro ebbe la possibilità
di allestire un'orchestrina jazz che si esibiva, di tanto in tanto, nelle
sale parrocchiali della zona, più per il semplice piacere di suonare
insieme che per farsi conoscere, visto che spesso capitava che il pubblico
fosse costituito solo da pochi vecchietti, poiché si temevano rappresaglie
da parte dei fascisti. Anche il commercio di dischi d'importazione era
vietato, ma un negozio di Bologna li vendeva sottobanco e naturalmente
Todeschini fu uno dei suoi più affezionati clienti.
Nel '44, per non essere arruolato nell'esercito della Repubblica di Salò,
Todeschini si nascose a Borgo Tuliero, dove la sua famiglia era sfollata.
Il 25 novembre arrivarono gli alleati. Lo colpì, da subito, l'enorme
differenza di mezzi e di uomini fra l'esercito dei tedeschi che si ritirava
e quello degli alleati che giungeva, tanto da apparirgli incomprensibile
come i primi avessero potuto resistere così a lungo. Probabilmente,
gli alleati "avevano un programma prestabilito per conquistare l'Italia
entro determinate date", sospetta l'intervistato.
Insieme agli inglesi, ai gurka, ai maori, agli indiani, e ai polacchi
(di cui ricorda, con stupore, un maresciallo, comandante di un reparto
di artiglieria, che aveva con sé una foto di Hitler "perché,
diceva, gli dava più garanzie degli alleati"), Todeschini
ricorda anche la presenza di un contingente senegalese. Infatti, in via
Tuliero, dove era sfollato, gli alleati furono costretti ad abbattere
alcuni edifici per allargare la strada e permettere il passaggio dei carri
armati: di questo furono incaricati dei soldati senegalesi dotati di caterpillar.
Per evitare che la casa di Todeschini fosse abbattuta, si fecero delle
trattative. Alla fine si riuscì a salvare l'abitazione, ma la cantina
fu abbattuta. All'interno vi erano delle botti piene di vino, ed i soldati
africani si dimostrarono molto rammaricati per lo spreco che comportava
la loro distruzione.
Nei mesi che seguirono la liberazione, Todeschini ebbe modo di conoscere
bene gli ufficiali della 10a divisione indiana, che soggiornavano in c.so
Saffi nell'ex - albergo Corona, dove era stato invitato a suonare con
il suo complessino, i Faenza Swingers, tutti i giorni all'ora di cena.
Ricorda poi che vi erano altri soldati indiani acquartierati sotto la
loggia della piazza fra lo scalone del Municipio e c.so Mazzini, mentre
all'interno del Municipio stesso si erano insediati alcuni militari italiani
della divisione "Friuli", e a palazzo Laderchi, ex - sede del
Fascio faentino, alloggiavano gli ufficiali inglesi. Tutti i pomeriggi,
inoltre, con il suo complessino, Todeschini suonava al caffè Caroli,
dove si riunivano i partigiani.
Questo stretto contatto con i "liberatori", permise al giovane
musicista di notare alcune usanze che gli apparvero subito "strane":
per esempio, che gli indiani erano soliti farsi la barba a secco con pezzi
di vetro, o quanto mangiassero "incredibilmente pepato", come
gli capitò di provare al ristorante dell'albergo Corona, dove spesso
gli ufficiali organizzavano cene a base della loro cucina tradizionale.
Stupiva, comunque, la grande abbondanza di cibo, di sigarette e anche
di alcolici. Un particolare curioso è che gli alleati portarono
sigarette, soprattutto Camel, già impacchettate e pronte, mentre
fino ad allora gli italiani erano usi farsele a mano, o, comunque, a comprarle
"sciolte". Durante l'occupazione tedesca, poi, il poco tabacco
reperibile, arrivava addirittura ancora in foglie dal monopolio di Stato,
dove, probabilmente, veniva rubato.
Con l'arrivo degli alleati giunse anche la pizza, "importata"
dal sud, o forse, come afferma Todeschini, addirittura dall'America, dove
le comunità italiane erano già ben radicate. Questo piatto
era allora sconosciuto dalle nostre parti, o quasi. Portarono inoltre
Coca Cola, birra, scatolame; mangiare scatolame diventò addirittura
di moda fra i faentini. I giovani, per la prima volta, cominciarono ad
uscire la sera, a mangiare fuori. Gli alleati, però, apprezzando
molto la nostra "moda", cominciarono loro a vestirsi all'italiana.
Si diffuse un nuovo ballo, il boogie woogie. Vi fu anche un cambiamento
nel modo di parlare: si cominciò infatti ad usare i verbi all'infinito
per scimmiottare l'italiano stentato degli alleati.
Un'altra cosa che colpì molto Todeschini e che ci pare estremamente
importante sottolineare, visti i riflessi sociali che comporta, fu lo
stretto rapporto che notò fra gli ufficiali ed i soldati alleati,
che definisce "amichevole", al contrario di quanto aveva sempre
visto, sia nell'esercito italiano, sia in quello tedesco, dove tutto era
basato sulla rigida gerarchia dei gradi, e non c'era alcun tipo di "rapporto
umano fra i superiori e la truppa".
Soprattutto gli inglesi, avendo coscienza di essere ormai vincitori, talvolta
erano un po' prepotenti. In una occasione approfittarono anche di due
donne, ma fu un caso sporadico. In linea di massima s'instaurò
un rapporto, comunque, amichevole, in generale con tutta la popolazione
civile, ma soprattutto con i bambini e gli anziani, verso i quali i soldati
dimostrarono una particolare sollecitudine, soprattutto in termini di
assistenza sanitaria; anche Todeschini sottolinea la diffusione della
penicillina, ma pure quella delle pomate per le punture d'insetto.
Conclusioni
Anche quando se ne
andarono, gli alleati lasciarono molti dei loro mezzi, come i più
volte citati caterpillar e le jeep (le celeberrime Willys ancora oggi
considerate pezzi pregiati per ogni collezione di auto d'epoca e di mezzi
militari), che, dopo aver dato loro un grande vantaggio sul campo di battaglia,
risultarono utilissimi ai nostri contadini, i quali, soprattutto grazie
a questi mezzi, poterono tornare subito ad arare i loro campi. Furono
molto "sfruttati" anche i rifornimenti di carburante degli alleati,
talvolta "nascostamente" ed, ancora oggi, è facilissimo
trovare, nelle case di campagna, le casse di metallo che contenevano munizioni
e lanterne, o altri oggetti come elmetti o taniche metalliche, che vennero
poi riutilizzate in vario modo.In conclusione possiamo affermare che,
con l'arrivo degli alleati, vi fu senza dubbio un miglioramento delle
condizioni sia alimentari, che igienico - sanitarie della popolazione
civile. L'assistenza che fornirono ai faentini, oltre naturalmente alla
liberazione dai nazi-fascisti, fu notevole, e, infatti, tutte le testimonianze
(anche altre rilasciateci da contadini o figli di contadini delle zone
di Modigliana, Brisighella, Errano, Pieve Cesato e Prada), concordano
nel rimarcare le abbondanti distribuzioni di cioccolata, marmellata, scatolette,
the, ma anche di medicinali, sigarette di marca e sapone, spesso in cambio
di panni lavati. Questo aiutò certamente l'instaurarsi di un rapporto
per lo più "amichevole", sostenuto anche dall'atteggiamento
degli alleati, che si dimostrarono, per lo più, gentili e disponibili
nella maggior parte delle occasioni.
A seconda delle zone arrivarono gruppi misti o omogenei di inglesi, polacchi,
neozelandesi, senegalesi, Gurka, indiani e, a nord di Faenza, anche canadesi,
individui perciò appartenenti a popoli diversi e con diverse tradizioni
e comportamenti. I polacchi, sono stati riconosciuti dalla maggior parte
degli intervistati, come i più violenti, a volte addirittura in
maniera del tutto immotivata (come testimonia Casanova). Tutti, però,
si ubriacavano, ballavano il boogie woogie (spesso con donne italiane),
suonavano le loro canzoni con i loro strumenti tradizionali e cercavano
di svagarsi appena era loro possibile. Fra di essi, alcuni rubavano dalle
case dei civili cose che spesso regalavano ai vicini (stando ad una testimonianza
qui non riportata, ciò comportò l'arricchimento di alcune
famiglie a danno di altre) e si verificarono anche delle violenze sulle
donne (si veda quanto dicono Casanova e Todeschini), anche se spesso,
questi casi vennero alla luce solo anni dopo. Agli occhi degli italiani,
comunque, tutti mostravano una "mentalità vincente" e,
secondo il sig. Todeschini, erano "veramente" dei vincitori..
E questo emergeva anche dai più piccoli particolari, come il rituale
del the, consumato sempre, anche sotto le bombe, da cui possiamo immaginare
la sicurezza che ispiravano.
Sta di fatto che, dopo secoli di lenti mutamenti, immediatamente quasi
impercettibili, una civiltà ancora di fatto contadina, conobbe,
d'un tratto, nuove realtà che le si presentarono, nel complesso,
positivamente (gli alleati erano liberatori, nutritori, curatori), verso
le quali perciò nacque uno spontaneo sentimento di emulazione,
che portò all'acquisizione di nuovi comportamenti, linguaggi e
atteggiamenti culturali (come testimoniato da Todeschini).
Credo quindi sia giusto quanto sostiene il sig. Todeschini, che, al di
là degli indubbi benefici materiali, essi furono importanti anche
in vista della radicale trasformazione dei rapporti fra le classi che
si registrò, all'interno della nostra società, proprio a
partire dal secondo dopoguerra. La coesione interna, il "rapporto
umano" tra superiori e truppa, venne interpretato, probabilmente
a ragione, come un'arma in più sulla quale gli alleati avevano
potuto contare per giungere alla vittoria finale.
Nella società italiana del tempo, specialmente nelle nostre zone
agricole, vigeva ancora una rigida divisione fra classi: c'era un "muro"
a separare gli agrari da un lato, e i mezzadri e i braccianti dall'altro,
che, solo in parte, le lotte socialiste dei primi decenni del secolo avevano
potuto scalfire. Fu probabilmente per questo che, l'episodio riguardante
il principe Umberto, più sopra riportato, provocò lo stupore,
lo scandalo della signora Rondinini. Questo episodio, andando contro l'educazione
ricevuta, destò in lei grande disappunto, ma bisogna ricordarsi
pure che quei soldati della "Friuli, erano probabilmente ex partigiani
irreggimentati nelle file degli alleati; il loro credo politico, il fatto
di avere subito rastrellamenti, uccisioni di amici, privazioni di ogni
tipo a causa di una guerra che non avevano voluto e nella quale li avevano
trascinati Mussolini e il Re, ed in ultimo, il loro prolungato rapporto
con gli alleati, forse spiegano meglio quegli improperi e quegli sputi
nei confronti di uno dei simboli stessi di un ordine a cui non volevano
più tornare.
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