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Nell'anno scolastico 1900-901 Dino è studente a Faenza, allievo della prima classe liceale di quel Regio Ginnasio- Liceo «E. Torricelli» sul cui conto non abbiamo notizie particolareggiate ma che certamente è simile a qualsiasi altro liceo classico di qualsiasi piccola città della provincia italiana: Pinerolo, Caserta, Trapani… (L'istituzione «liceo classico» è una delle poche cose veramente unitarie, nell'Italia del primo Novecento). Immaginiamoci dunque un edificio vecchio di due o tre secoli ma parzialmente riattato: al piano terra c'è il ginnasio, al piano superiore il liceo. Nel cortile o sulle scale c'è il busto del personaggio cui la scuola è intitolata. (A Faenza, del signor Torricelli). Il Preside è un attempato burocrate esperto in anniversari, celebrazioni e storie locali. Gli insegnanti sono una trentina, uomini e donne costretti dalle circostanze a guadagnarsi il pane recitando il proprio personaggio. Accade così che ogni liceo abbia il suo Pedante, il suo Progressista, la sua Zitella, il suo Satiro (variante: il suo Omosessuale), il suo Filosofo, il suo Genio più o meno Compreso... Su questi personaggi corrono leggende che si tramandano di generazione in generazione e che coinvolgono i Bidelli: esseri abietti ma astuti, generalmente
dediti a seconde attività assai remunerative oppure (variante) a oscuri traffici con gli Studenti. (Tabacchi, pornografie, lenocini). Per parte loro, gli Studenti risultano suddivisi in due Corsi: Corso A e Corso B. Il Corso A è esclusivamente maschile; il corso B è misto. (Variante: è esclusivamente femminile). A differenza dei Professori, che durano in media quarant'anni, gli Studenti sembrano dediti a perenne avvicendamento: ma in realtà sono sempre gli stessi, il figlio del Notaio che deve diventare Notaio, il figlio del Padrone della Fornace che deve diventare Avvocato, il figlio dell'Avvocato che deve diventare Padrone della Fornace, il figlio del Commerciante che deve diventare Medico e cosi via (cosi sia). Il cortocircuito degli insegnanti (delle Maschere) generalmente si produce quando si accorgono di non riuscire più a distinguere i padri dai figli: giunge l'orrenda vecchiaia, e con essa l'oblio di quell'eletta società di Genitori e di Studenti che per decenni le Maschere hanno accudito, lusingato, impaurito senza mai riuscire ad entrarvi, a farsi veramente accettare...
Ho in valigia la fotografia, riprodotta da vari autori, della classe prima liceale del Regio Ginnasio-Liceo «E. Torricelli» di Faenza, anno scolastico 1900-901. Dino vi appare accigliato, con incipienti baffetti: un poco più vecchio, si direbbe, dei suoi sedici anni non ancora compiuti. Dietro di lui un suo compagno (forse l'Accardo, o il Solumi) gli appoggia una mano sulla spalla. Gli studenti sono complessivamente diciotto e sono tutti maschi: ciò significa che questa è la foto-ricordo del Corso A. Guardando i volti e gli atteggiamenti potrei tirare a indovinare chi è figlio del Notaio e chi del Padrone della Fornace: ma non sarebbe cosa seria. Più facile cogliere le caratteristiche di alcuni tipi umani già sufficientemente individuati (il disinvolto, l'elegante, il rubacuori, l'altezzoso) e immaginare la rete di relazioni, l'impenetrabile tessuto di interessi di parentele di affinità e di rivalità che stringono l'uno all'altro questi rampolli della borghesia locale, il figlio del Notaio a quello del Farmacista, il figlio dell' Avvocato a quello del Medico ...
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Chissà perché i rampolli della borghesia faentina «ridono», Dino Campana, come poi lui stesso dirà per spiegare la bocciatura e l'anno scolastico perduto. («Mi ridevano»). In quest'anno 1900-901 Dino ha problemi in famiglia, anche abbastanza gravi; fa il pendolare tra Marradi e Faenza, cioè trascorre ogni giorno alcune ore sui treni e nelle sale d'attesa delle stazioni ferroviarie; veste gli abiti smessi dal padre e dallo zio Torquato; infine - e questo è il dato più significativo - tra i ragazzi della fotografia lui certamente è un intruso. Per due motivi: anzitutto, perché non fa parte della loro società; in secondo luogo, perché proviene da un collegio dove ha frequentato tutt'e cinque le classi del ginnasio mentre questi altri sono sempre stati li, sono insieme da cinque anni se non addirittura da dieci, dalla prima classe elementare... Quanti sono, nella fotografia, gli ex collegiali come Dino? Chissà. Forse nessuno, forse uno (quello, appunto, che gli tiene la mano sulla spalla). Nell'impatto di Dino Campana con il liceo di Faenza c'è dunque da mettere in conto l'atteggiamento diffidente dei giovani rappresentanti della borghesia locale, la loro scarsa disponibilità a fraternizzate con un montanaro ingenuo, goffo, timido e orgoglioso; ma siccome poi per «ridere» qualcuno, cioè per deriderlo in maniera sistematica e continua bisogna avere un pretesto, una ragione particolare: io credo che lo studente liceale Campana commetta qualche goffaggine con le compagne del Corso B o forse proprio specificamente con una compagna, quella Francesca B di cui tra dieci anni troverà il nome graffito («Francesca B, peccatrice») su un muro del santuario della Verna. («Davanti alle semplici figure d'amore il sue cuore si era aperto ad un grido ad una lacrima di passione, così il destino era consumato!»). Che la contempli da lontano senza nemmeno pensare di farsi avanti, di parlarle ... Il mancato affetto della madre, l'accurata repressione ricevuta in collegio, l'indole chiusa e sognatrice fanno sì che lui sia impacciato oltre ogni limite ragionevole nei rapporti con le ragazze, che sia incapace di trattarci; questa è la sua principale debolezza e questa probabilmente è anche la ragione per cui i compagni lo «ridono».
Il resto è noto ed è logica conseguenza dell'incompatibilità con l'ambiente. Dino s'assenta, va a spasso anziché frequentare le lezioni; s'impegna poco nello studio e i Professori (le Maschere) lo bocciano con questi voti: italiano 5 , latino 4, greco 4, storia 6, filosofia 5 , matematica 6, fisica 6, storia naturale 6.
Sebastiano Vassalli, La notte della cometa
, Torino, Einaudi, 1984.
Nella notissima biografia romanzata di Dino Campana, Vassalli dedica due capitoletti al Torricelli.
La ricostruzione è di pura fantasia e merita varie annotazioni:
- All'epoca di Campana la presenza femminile nei licei è minima. Al Torricelli non c'era nemmeno un'alunna in tutto
il liceo; c'erano solo due alunne in tutto il ginnasio.
- Accardo e Solumi si chiamavano in realtà rispettivamente Aicardi e Solenni e furono compagni di Campana a Carmagnola, non a Faenza
- La presunta emarginazione di Campana fra i compagni contrasta con le testimonianze dell'epoca. «Mi ridevano», dirà Campana
a Pariani, ma si riferisce ai compaesani marradesi dopo il ritorno da Carmagnola.
- I non faentini al Torricelli sono circa la metà; i marradesi costituiscono un gruppo numeroso e tutt'altro che emarginato.
Si può anzi presumere che la provenienza dalla Toscana costituisse un motivo di prestigio nell'Italia postunitaria.
- Numerosi erano anche gli ex collegiali provenienti dai Salesiani. Tre solo nella classe di Campana.
- Campana non faceva il pendolare, ma risiedeva a Faenza in via Bondiolo. Non esistevano treni che consentissero ad uno studente di fare giornalmente il tragitto Marradi-Faenza-Marradi.
- Il "signor Torricelli" è Evangelista Torricelli, il più grande scienziato che l'Italia abbia avuto dopo Galileo.
- La celebre foto non ritrae Dino Campana, nè la sua classe. Ma questo (solo questo!) Vassalli non poteva saperlo.
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