Laboratorio di Storia Locale

Laghi Simone
Gli alleati visti dai faentini

 

  Era l'alba del 17 dicembre 1943 quando la prima compagnia dei Gurka entrò a Faenza da Porta Montanara, dopo aver passato la notte nel cimitero dell'Osservanza. Nei giorni precedenti c'era stata una furibonda battaglia nella zona di Celle che aveva costretto i tedeschi a ritirarsi sulla linea del fiume Senio. Da quel momento Faenza era libera. Cominciava per tutti i faentini un nuovo periodo pieno di incognite, ma era, comunque, la fine di un incubo e rinasceva la speranza.
Gli alleati, Inglesi, Polacchi, Gurka, Maori, Neozelandesi, Ebrei soggiornarono a Faenza fino all'offensiva di primavera, scattata l'11 aprile 1945. Durante l'inverno provvidero a ricostruire i ponti fatti saltare dai tedeschi (in primo luogo quello della ferrovia, costruito dalla compagnia ebraica e completato il 10 aprile 1945), o a sostituirli con ponti Baley (Ronco, Borgo, Marzeno per fare degli esempi), e recuperarono immediatamente la Route 9, ossia la via Emilia, che provvidero a lastricare con dei ciottoli prelevati, grazie ai nuovi mezzi di cui disponevano, dalle macerie delle case del Borgo distrutte dai bombardamenti. L'utilizzo, per la prima volta nella nostra città, delle macchine "movimento terra" (o caterpillar), destò molta impressione, ed alcuni di essi vennero lasciati qui dagli alleati e usati in seguito per lavorare nei campi.
Il passaggio del fronte nella nostra zona apportò sensibili cambiamenti nello stile e nelle condizioni di vita dei faentini. Come in tutta Italia, anche a Faenza, durante la risalita alleata, poterono essere facilmente reperiti, sia nuovi ritrovati tecnologici, che una gran quantità di beni di prima necessità, i quali aiutarono le popolazioni colpite a "rialzarsi" dopo il passaggio della guerra. In effetti, cose per noi apparentemente banali come la penicillina, i caterpillar, la carne in scatola, la cioccolata e i biscotti, che gli alleati portarono con sé e che distribuirono alla popolazione, aiutarono molto i faentini. In questa sezione vogliamo riportare e tentare di analizzare alcune testimonianze di nostri concittadini, intervistati in merito ai loro rapporti con gli alleati nella vita di tutti i giorni di quel terribile inverno del 1944/45.

Partigiani e Alleati

Intervistando il signor Casanova Battista, siamo riusciti ad avere importanti informazioni per quanto riguarda i rapporti fra gli alleati e il Fronte di Liberazione Nazionale, o meglio, fra alleati e la ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), alla quale il sig. Casanova aderì poco dopo l'8 settembre 1943. Gli alleati, già da prima della liberazione, collaboravano con le organizzazioni partigiane della nostra zona, che operavano sulle colline fra Modigliana, Brisighella e Marradi, eseguendo lanci di armi e munizioni dagli aerei. Proprio per poter recuperare il materiale lanciato dagli americani sul monte Lavane i partigiani della ORI ingaggiarono una violenta battaglia contro i Tedeschi e le unità Fasciste di appoggio che volevano impedire loro di riarmarsi.
In seguito alla liberazione della città, Casanova si trovò a dover organizzare, a stretto contatto con gli alleati, la gestione degli interventi "di prima necessità", ossia la messa in funzione di quelle infrastrutture provvisorie che furono necessarie per assistere i civili che tornavano dalle campagne dov'erano sfollati e che spesso trovavano la casa distrutta dai bombardamenti. Fra l'altro venne anche istituito un ente, una sorta di "catasto provvisorio", che ebbe come compito quello di censire i danni subiti dai bombardamenti e di confiscare le abitazioni appartenenti a ex gerarchi fascisti. Inoltre venne fornita assistenza sanitaria. Questo particolare è importante perché proprio con l'arrivo degli alleati si videro apparire a Faenza rimedi come la penicillina, che non erano ancora largamente diffusi.
In particolare il sig. Casanova si trovò a dover allestire una mensa pubblica (detta "mensa partigiana") nei pressi di quella che è oggi la sede della sezione scientifica del nostro Liceo. Tale mensa veniva approvvigionata soprattutto grazie al contributo degli alleati, i quali fornivano scatolame e altri generi alimentari, ma anche per mezzo di piccole donazioni in natura da parte dei contadini della zona (a questo proposito mi ricordo che il mio bisnonno, Giuseppe Laghi, agricoltore, era solito dire: "Dopo la guerra le case erano crollate, e molta gente non aveva più niente; nei campi c'erano i buchi delle granate, ma la terra c'era ancora e poteva ancora produrre"). Per cercare queste "offerte" si partiva da Faenza con un mulo e si faceva il giro della campagna, percorrendo ogni giorno una zona diversa.
Il sig. Casanova ci ha detto che tutti quanti gli alleati erano bravi soldati. Ha però sottolineato la violenza dei Polacchi, comandati dal generale Anders, i quali spesso si lasciarono andare a violenze gratuite ed immotivate. Un giorno, per esempio, durante una "festa" organizzata nella mensa pubblica di cui sopra, alcuni di loro vi fecero irruzione lanciando una bomba a mano, mentre in un'altra occasione, assaltarono il Circolo Socialista con rivoltelle e fucili. Ma anche gli indiani furono visti da Casanova violentare una donna.
Un episodio particolare. Accadde, subito dopo la liberazione di Faenza, che un reparto, forse di Gurka o Maori (comunque di soldati di etnia non europea), si stabilisse nell'odierno municipio. Passando lì sotto, il sig. Casanova vide del fumo uscire dalle finestre aperte (era il mese di dicembre). Insieme con un ufficiale inglese, anche lui di passaggio, salì a vedere e scoprì che quei soldati avevano smontato le finestre di legno e ne avevano fatto un falò al centro della Sala delle Bandiere, rischiando di rovinarne per sempre il soffitto decorato. Con un po' d'insistenza riuscirono a farli desistere nel loro intento e li fecero traslocare in una sede meno "delicata".

L'incontro

Don Giuseppe Rotondi nacque nel 1914 e nel '37 fu ordinato sacerdote. Fu assegnato alla parrocchia di S. Martino, situata sulle colline fra Faenza e Forlì. Durante la guerra, precisamente l'11 novembre del 1944, ai primi attacchi alleati sulla linea della Cosina e del Montone, egli si trovava in chiesa a celebrare la S. Messa, quando cominciarono i bombardamenti d'artiglieria. Erano i cannoni della 8°armata che facevano fuoco di sbarramento per permettere alla fanteria di avanzare. Mentre i fedeli fuggivano dalla chiesa, lui volle rimanere e terminare la funzione. Sentiva le bombe che cadevano anche molto vicino, facendo tremare le pareti. Una volta terminata la funzione usci e andò a rifugiarsi insieme agli altri in uno scantinato sotto la canonica, quando una bomba cadde e centrò proprio l'altare sul quale, poco prima, stava celebrando.
A seguito dell'avanzata alleata gli capitò anche di dover ospitare dei tedeschi in ritirata. Insieme a questi tedeschi vi erano anche dei polacchi che avevano "scelto" di combattere al loro fianco. Poco prima di sgomberare, durante l'ultima notte che i tedeschi avrebbero passato lì, arrivarono gli alleati. Lui si trovava con alcuni militari e un ufficiale nel rifugio sotto la canonica, quando entrarono e li fecero uscire tutti con le mani in alto. L'ufficiale che comandava i tedeschi fece appena in tempo a nascondere la sua rivoltella in cima a un mobile, per evitare di venir riconosciuto come graduato. Dopo che gli alleati si furono informati su quanti tedeschi fossero passati di lì in precedenza, accadde un fatto straordinario; mentre risalivano le scale per uscire dallo scantinato, un soldato del contingente alleato e uno di quello tedesco si guardarono, scoppiarono in lacrime e si abbracciarono: erano due fratelli polacchi che combattevano uno contro l'altro, che la storia aveva separato e ora riunito. Questo fatto, pur eccezionale, non fu isolato. Spesso si verificarono scene simili fra le file dei partigiani e dei repubblichini: la lontananza da casa, la mancanza di contatti, potevano giocare questi "strani" scherzi.
In seguito a questo episodio Don Giuseppe si trasferì a Montefortino, e a causa della mancanza dei beni di prima necessità cercò aiuto presso gli alleati, chiedendo scatolame alle camionette che passavano da quelle parti, oppure recuperando ciò che i soldati lasciavano durante la loro avanzata. Ci ha detto che gli alleati erano molto generosi, e, soprattutto per quanto riguardava il cibo, facevano di tutto per aiutare i civili, che mancavano di ogni cosa, al punto che venivano usate le tende delle case per fare vestiti.


Ospitare i polacchi

Abbiamo raccolto anche la testimonianza della sig.ra Rondinini Maria Luisa, che nel '44 aveva 14 anni. Sfollata in campagna con tutta la famiglia, nel territorio del Comune di Brisighella, convisse con i Polacchi per tutto l'inverno, fino al maggio 45. La casa dove ella viveva era stata requisita dal Comando di zona alleato, ed era la Casa Camerini di S. Mamante di Coriano.
La prima volta che vide un militare alleato fu il 16 dicembre 1944. Costretta ad uscire, insieme a tutta la famiglia, dalla cantina - rifugio da una pattuglia in avanscoperta, li vide avanzare, disposti in file orizzontali, nei campi arati dalle bombe e dalle granate di mortaio, con il fucile mitragliatore Thompson spianato e pronto al fuoco. Intorno e sulle colline bruciavano i letamai e i fienili vicino alle case coloniche. Parlavano polacco, ed avevano dai 25 ai 45 anni. La loro divisa era color kaki, ed avevano l'elmetto coperto di rete. Non si potevano distinguere gli ufficiali dalla truppa, perché portavano la stessa uniforme, probabilmente per evitare di venire presi a bersaglio dai cecchini. Avevano una gran disponibilità di mezzi, soprattutto carri armati, camion e jeep. In cielo volavano bassi gli aerei da ricognizione che, secondo le parole della signora, "fotografavano noi tutti allineati vicino ai muri di casa".
Questi soldati di origine polacca facevano parte del contingente che era riuscito a fuggire dalla patria prima o subito dopo l'invasione russa e tedesca del '39. Alcuni di loro venivano anche dai campi di lavoro della Siberia.
Nei primi giorni di occupazione non ci furono molti rapporti, anche perché li fecero tornare tutti in cantina, mentre ai piani superiori i soldati "requisivano" quanto era di loro gradimento. Nei giorni seguenti le relazioni migliorarono e furono poi sempre buone, tanto che furono invitati a partecipare, insieme ai militari polacchi, nella grande sala al primo piano della casa, alla S. Messa di Natale con preghiere e canti in latino. Nella casa c'erano 13 ragazzi. Dall'intervista risulta che la cosa che più li colpì degli alleati era che disponevano di una gran varietà di cibo e anche che riuscivano ad essere sempre puliti e in ordine, pur in mezzo a tante difficoltà. In questa intervista, per la prima volta tra quelle da noi effettuate, risulta che i polacchi furono gentili, sia i graduati che i semplici militari. Offrivano sempre sapone e sigarette, che il nonno della signora fumava nella pipa. Una cosa che colpì molto i ragazzi furono anche i "montgomery" bianchi che indossavano i soldati per mimetizzarsi sulla neve, quando uscivano la notte di pattuglia,.
La famiglia continuava in gran parte a vivere in cantina, o in alcune stanze ai piani superiori. Più che altro era la paura delle granate, che continuarono a cadere fino al 20 aprile, a dissuaderli dal dormire in casa piuttosto che in cantina. I soldati ogni tanto chiedevano qualche favore agli abitanti della casa, e, per quanto possibile li si accontentava, ed essi erano molto riconoscenti. Erano molto aperti a parlare della loro vita, delle loro famiglie, di cui non avevano notizie da ormai troppo tempo. Si rivolgevano con affetto sia alle mamme, sia ai bambini più piccoli, deplorando ripetutamente la guerra. Impararono, con il tempo, a parlare un italiano stentato aiutandosi, nell'esprimersi, con i gesti. Vi erano anche soldati inglesi che venivano da altre zone al Comando, probabilmente per fare rapporti o ricevere ordini, e da questi soldati ricevevano notizie e saluti dei parenti della signora che si trovavano in altre case lontane.
Nel febbraio del 1945 ci fu un avvicendamento dei militari sul fronte del Senio: soldati italiani della divisione Friuli presero il posto della Compagnia Polacca. I soldati italiani erano comandati da graduati inglesi che, a dire il vero, passavano le giornate bevendo the e mangiando sandwich con vari formaggi e salumi cotti in scatola, che ai bambini facevano venire l'acquolina in bocca. L'attendente italiano che li preparava, insieme alla madre della signora e alla zia, non mancava però di farli partecipi di buoni spuntini.
Nel mese di Marzo, venne in visita alle truppe sul fronte del Senio, il principe Umberto di Savoia: aveva la barba lunga e il viso accigliato. La mamma e la zia della signora Rondinini, su richiesta degli ufficiali, gli offrirono un "caffè di guerra" nel loro salotto. Quando uscì, con loro grande costernazione, videro che alcuni militari italiani, dalla finestra del primo piano, sputavano sul principe e gli urlavano epiteti tremendi. I bambini, essendo stati educati ad un altro rispetto verso l'istituzione monarchica, non capirono il perché di quell'azione, che giudicarono riprovevole.
La signora afferma, che, per quanto riguarda la sua esperienza, la convivenza con i soldati italiani risultò negativa. Un colonnello toscano cercò persino di "disturbare" sua madre e le sue due sorelle gemelle; non ci si poteva mai fidare di loro e ci si muoveva sempre in compagnia, e la signora conclude dicendo che fu "un'esperienza davvero disdicevole: né i tedeschi né gli alleati stranieri ci avevano mai procurato questo tipo di preoccupazione".

L'arrivo del Jazz

Nel corso delle nostre interviste ci siamo incontrati anche con il sig. Todeschini, il quale ci ha fornito notizie particolarmente significative sull'arrivo degli alleati, e soprattutto sui cambiamenti che il loro passaggio ha portato nella vita e nei costumi dei faentini.
Il sig. Todeschini è nato nel 1923, ed è, fin dalla giovinezza, un grande appassionato ed interprete di musica Jazz. Ai tempi del regime fascista tale musica era ufficialmente vietata (dalla Germania arrivò il Verboten Swing, una legge che proibiva i ritmi americani), sebbene, ogni tanto, si chiudesse un occhio. Fu in questo modo, che, nonostante i divieti ufficiali, il nostro intervistato ebbe la possibilità di allestire un'orchestrina jazz che si esibiva, di tanto in tanto, nelle parrocchie, per il semplice piacere di suonare più che di esibirsi; spesso capitava infatti che il pubblico fosse costituito solo da qualche anziano, poiché si temevano rappresaglie da parte dei fascisti. Anche il commercio di dischi d'importazione era vietato, ma un negozio di Bologna li vendeva sottobanco.
Nel '44, il sig. Todeschini, per non essere arruolato nell'esercito della Repubblica di Salò, si era nascosto a Borgo Tuliero, dove la sua famiglia era rifugiata. Il 25 novembre arrivarono gli alleati. Lo colpì, da subito, l'enorme differenza di mezzi e di uomini fra l'esercito dei tedeschi che si ritirava e quello degli alleati che giungeva, tanto da apparirgli incomprensibile come i tedeschi avessero potuto resistere così a lungo. Probabilmente, gli alleati "avevano un programma prestabilito per conquistare l'Italia in determinate date", sospetta il nostro intervistato.
Insieme ai soliti Gurka, Maori, Inglesi, Polacchi (di cui ricorda, con stupore, un maresciallo, comandante di un reparto di artiglieria, che aveva con sé una foto di Hitler "perché, diceva, gli dava più garanzie degli alleati") ed Indiani, il sig. Todeschini cita anche la presenza di un contingente senegalese. Infatti, in via Tuliero, dove il nostro intervistato si era rifugiato, gli alleati furono costretti ad abbattere le case per allargare la strada e permettere il passaggio dei carri armati: di questo furono incaricati dei soldati senegalesi dotati di caterpillar. Per evitare che la casa dove Todeschini risiedeva fosse abbattuta, si fecero delle trattative. Alla fine si riuscì a salvare l'abitazione, ma la cantina fu abbattuta. All'interno vi erano delle botti piene di vino, ed i soldati africani si dimostrarono molto rammaricati per lo spreco che comportava la loro distruzione.
Il sig. Todeschini conobbe bene gli ufficiali della 10° divisione indiana, che soggiornavano nell'ex Albergo Corona, dove era stato invitato a suonare per loro con il suo complessino, i Faenza Swingers, tutti i giorni all'ora di cena. Ma ricorda ancora che vi erano anche altri soldati indiani stanziati sotto la loggia della piazza, fra lo scalone del Municipio e Corso Mazzini, mentre all'interno del Municipio si era insediata la Friuli, brigata italiana, e a Palazzo Laderchi, ex sede del Fascio, si trovavano gli ufficiali inglesi. Tutti i pomeriggi, inoltre, con il suo complessino, Todeschini suonava al caffè Caroli, dove si riunivano i partigiani.
Questo stretto contatto con i liberatori, permise al nostro giovane musicista di notare alcune usanze che gli apparvero subito "strane" come, per esempio, che gli indiani erano soliti farsi la barba a secco con pezzi di vetro, o quanto mangiassero "incredibilmente pepato " come, talvolta, gli capitò di provare all'Albergo Corona, dove gli indiani organizzavano cene a base della loro cucina tradizionale. Vi era, comunque, una notevole abbondanza di cibo, sigarette e anche di alcolici. Un particolare significativo è che gli alleati portarono sigarette, soprattutto Camel, già impacchettate e pronte, mentre fino ad allora le si faceva a mano, o, comunque le si comprava sciolte. Durante l'occupazione tedesca, poi, il poco tabacco reperibile, arrivava ancora in foglie dal monopolio di Stato, dove, probabilmente, veniva rubato.
Con l'arrivo degli alleati giunse anche la pizza, "importata" dal sud, o forse, come afferma Todeschini, addirittura dall'America, dove le comunità italiane erano già ben radicate. Questo piatto da noi era allora sconosciuto, o quasi. Portarono inoltre Coca Cola, birra, scatolame; mangiare scatolame diventò addirittura di moda fra i faentini. I giovani, per la prima volta, cominciarono ad uscire la sera, a mangiare fuori. Gli alleati, però, apprezzando molto la nostra "moda", cominciarono loro a vestirsi all'italiana. Si diffuse un nuovo ballo, il boogie woogie. Vi fu anche un cambiamento nel modo di parlare: si cominciò infatti ad usare i verbi all'infinito per scimmiottare l'italiano stentato degli alleati.
Un'altra cosa che colpì molto Todeschini e che ci pare estremamente importante sottolineare, visti i riflessi sociali che comporta, fu lo stretto rapporto che notò fra gli ufficiali ed i soldati alleati, che definisce "amichevole", al contrario di quanto aveva sempre visto, sia nell'esercito italiano, sia in quello tedesco, dove tutto era basato sulla gerarchia e sul grado, e non c'era alcun tipo di "rapporto umano" fra i superiori e la truppa.
Soprattutto gli inglesi, avendo coscienza di essere ormai vincitori, e talvolta erano un po' prepotenti. In una occasione approfittarono anche di due donne, ma fu un caso sporadico. In linea di massima s'instaurò un rapporto, comunque, amichevole, in generale con tutta la popolazione civile, ma soprattutto con i bambini e gli anziani, verso i quali i soldati dimostrarono una particolare sollecitudine, soprattutto in termini di assistenza sanitaria; anche Todeschini sottolinea la diffusione della penicillina, ma pure quella delle pomate per le punture d'insetto.

Conclusione

Anche quando se ne andarono, gli alleati lasciarono molti dei loro mezzi, come i più volte citati caterpillar e le jeep (le celeberrime Willys ancora oggi considerate pezzi pregiati per ogni collezione di auto d'epoca e di mezzi militari), che, dopo aver dato loro un grande vantaggio sul campo di battaglia, risultarono utilissimi ai nostri contadini, i quali, soprattutto grazie a questi mezzi, poterono tornare subito ad arare i loro campi. Furono molto "sfruttati" anche i rifornimenti di carburante degli alleati, talvolta "nascostamente" ed, ancora oggi, è facilissimo trovare, nelle case di campagna, le casse di metallo che contenevano munizioni e lanterne, o altri oggetti come elmetti o taniche metalliche, che vennero poi riutilizzate in vario modo.

In conclusione possiamo affermare che, con l'arrivo degli alleati, vi fu senza dubbio un miglioramento delle condizioni sia alimentari, che igienico - sanitarie della popolazione civile. L'assistenza che fornirono ai faentini, oltre naturalmente alla liberazione dai nazi-fascisti, fu notevole, e, infatti, tutte le testimonianze (anche altre, sinteticamente riportate in allegato, rilasciateci da contadini o figli di contadini delle zone di Modigliana, Brisighella, Errano, Pieve Cesato e Prada), concordano nel rimarcare le abbondanti distribuzioni di cioccolata, marmellata, scatolette, the, ma anche di medicinali, sigarette di marca e sapone, spesso in cambio di panni lavati. Questo aiutò certamente l'instaurarsi di un rapporto per lo più "amichevole", sostenuto anche dall'atteggiamento degli alleati, che si dimostrarono, per lo più, gentili e disponibili nella maggior parte delle occasioni.
A seconda delle zone arrivarono gruppi misti o omogenei di inglesi, polacchi, neozelandesi, senegalesi, Gurka, indiani e, a nord di Faenza, anche canadesi, individui perciò appartenenti a popoli diversi e con diverse tradizioni e comportamenti. I Polacchi, sono riconosciuti dalla maggior parte dei nostri intervistati, come i più violenti, a volte addirittura incomprensibilmente ostili (cfr. Casanova e allegati). Tutti, però, si ubriacavano, ballavano il boogie woogie (spesso con donne italiane), suonavano le loro canzoni con i loro strumenti tradizionali e cercavano di svagarsi appena era loro possibile. Fra di essi, alcuni rubavano, dalle case dei civili, cose che spesso regalavano ai vicini (stando ad una testimonianza in allegato, ciò comportò l'arricchimento di alcune famiglie a danno di altre) e si verificarono anche delle violenze sulle donne (Cfr. Casanova, Todeschini), anche se spesso, questi casi vennero alla luce solo anni dopo. Agli occhi degli italiani, comunque, tutti mostravano una "mentalità vincente" e, secondo il sig. Todeschini, erano "veramente" dei vincitori.. E questo emergeva anche dai più piccoli particolari, come il rituale del the, consumato sempre, anche sotto le bombe, da cui possiamo immaginare l'idea della sicurezza che ispiravano.
Sta di fatto che, dopo secoli di lenti mutamenti, immediatamente quasi impercettibili, una civiltà ancora di fatto contadina, conobbe, d'un tratto, nuove realtà che le si presentarono, nel complesso, positivamente (gli alleati erano liberatori, nutritori, curatori), verso le quali perciò nacque uno spontaneo sentimento di emulazione, che portò all'acquisizione di nuovi comportamenti, linguaggi e atteggiamenti culturali (Cfr. Todeschini).
Credo quindi sia giusto quanto sostiene il sig. Todeschini, che, al di là degli indubbi benefici materiali, essi furono importanti anche in vista della radicale trasformazione dei rapporti fra le classi che si registrò, all'interno della nostra società, proprio a partire dal secondo dopoguerra. La coesione interna, il "rapporto umano" tra superiori e truppa, venne interpretato, probabilmente a ragione, come un'arma in più sulla quale gli alleati avevano potuto contare per giungere alla vittoria finale.
Nella società italiana del tempo, specialmente nelle nostre zone agricole, vigeva ancora una rigida divisione fra classi: c'era un "muro" a separare gli agrari da un lato, e i mezzadri e i braccianti dall'altro, che, solo in parte, le lotte socialiste dei primi decenni del secolo avevano potuto scalfire. Fu probabilmente per questo che, l'episodio riguardante il principe Umberto che ho riportato, provocò lo stupore, lo scandalo della signora Rondinini. Questo episodio, andando contro l'educazione ricevuta, destò in lei grande disappunto, ma bisogna ricordarsi pure che quei soldati, appartenenti alla divisone Friuli, erano probabilmente ex partigiani irreggimentati nelle file degli alleati; il loro credo politico, il fatto di avere subito rastrellamenti, uccisioni di amici, privazioni di ogni tipo a causa di una guerra che non avevano voluto e nella quale li avevano trascinati Mussolini e il Re, ed in ultimo, il loro prolungato rapporto con gli alleati, forse spiegano meglio quegli improperi e quegli sputi nei confronti di uno dei simboli stessi di un ordine a cui non volevano più tornare.