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È necessario porsi a questo punto una domanda: quali saranno le prerogative intrinseche del nuovo progetto ambientale in termini di soluzioni tecnologiche, forme architettoniche e configurazioni urbane? Con una forte schematizzazione si può individuare come indirizzo principale il raggiungimento di una auspicata efficacia nell’assicurare all’architettura progettata, nuova o riqualificata, forti elementi di riequilibrio bioclimatico ed ecoefficiente tali da valere come corroborante della stessa qualità architettonica e urbana nel suo complesso. Se prima i criteri dell’ottica funzionalista si concentravano sulla distribuzione funzionale delle attività entro certe aree e spazi, assegnando alla naturalità il ruolo di completamento tra gli apparati funzionali edificati, ora i termini gerarchici devono essere ribaltati. La natura ha un potenziale valore non solo perché può conferire sostanza e incontaminazione, ma anche perché sarà l’elemento direttore dell’evoluzione dell’abitare, attorno al quale l’uomo organizzerà le proprie trasformazioni, con maggiore armonia e sintonia. Questo processo di nuova costituzione degli aspetti ecosostenibili e naturalizzanti dell’abitare, se è condiviso nei suoi obiettivi ultimi (rigenerare i valori ecologici dell’architettura e delle sue soluzioni reagendo a decenni di dissipazione e di inefficienza sconsiderate) per la pratica attuzione deve superare ostacoli formidabili. Prima di tutto è evidente che i costi che si dovranno affrontare in ogni passaggio della costituzione del patrimonio di cultura sostenibile saranno altissimi, non tanto imputabili al maggior costo in sé richiesto dal nuovo modo di progettare, quanto piuttosto al processo di conversione del patrimonio e della realtà esistente. Alti saranno anche i costi politici, perché i conflitti sul terreno dell’affermazione della domanda comune con gli aspetti naturali saranno inevitabili. Un secondo complesso di problemi è di ordine metodologico e tecnico. Esso attiene alla pluralità delle implicazioni scientifiche che vengono messe in gioco dalle grandi valenze di riconversione ecologica richieste dal progetto. Attraverso questa nuova assunzione di responsabilità scientifica, il progetto ambientale si pone a banco di prova per tutti i settori di intervento del controllo degli spazi che, ciascuno per la propria specificità, dovranno imparare a commisurare metodi, strumenti, aspirazioni in funzione dei ritmi suggeriti dalla natura in senso globale e dagli elementi climatici e biofisici in senso locale, rinunciando alle antiche ortodossie delle omologazioni a priori. Gli sviluppi degli ultimi anni dimostrano però quanto nel vivo del progetto ambientale i saperi scientifici e le tecniche di intervento della biologia, dell’ecologia, dell’ingegneria ambientale, della botanica, stanno tentando di convergere, cessando di essere discipline separate e ausiliarie. La concezione ecologica che considera nel loro insieme le comunità naturali, quella dell’architetto che percepisce gli aspetti naturalizzati in termini non solo estetici ma anche e soprattutto tecnologici e prestazionali, stanno tendendo a comporsi in un organico approccio strutturale, elaborando una specifica base sistemica. Questa riflessione generale, nel momento in cui coinvolge il senso stesso da dare alla tecnologia, alla città, all’idea di paesaggio, mette in discussione basi disciplinari consolidate, delineando non solo processi ma anche competenze e figure professionali e di ricerca del tutto nuovi.
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