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“Oggi siamo soliti assolvere alle operazioni di isolamento con una molteplicità di materiali sintetici, di cui non sappiamo ancora quasi nulla sul comportamento nel tempo, e soprattutto sulla incidenza che questi avranno in fase di dismissione sul nostro ambiente”. Gottfried Haefele La Natura riesce a risolvere praticamente tutti i suoi problemi di isolamento con materiali totalmente riciclabili (celluloide, chitina, cheratina) che il più delle volte sono impiegati per risolvere più compiti contemporaneamente, dalla impermeabilizzazione al passaggio d’acqua a veri e propri compiti di tipo strutturale. Scrive Pallasmaa: «Molto spesso accade di osservare in Natura l’impiego di veri e propri materiali da costruzione, simile a resina espansa, di cui si provvedono le piante perenni; oppure gli infiniti esempi di strati di pelo o di piume che involucrano stagionalmente specie animali al fine di isolarli termicamente grazie alla loro scarsa conduttività di calore». Molti uccelli possono mutare la struttura o la disposizione delle loro piume, per favorire o meno gli scambi termici tra l’interno del proprio corpo e l’ambiente esterno. Alcuni si proteggono dal freddo arricciando le penne, gli struzzi sudafricani regolano la loro temperatura spiegando le loro piume. Accanto alle funzioni del controllo termico, il piumaggio svolge almeno altri quattro compiti: è come noto funzionale al volo, è di ausilio agli scambi di informazione (anche di tipo “amoroso”), serve per la mimetizzazione ed è un perfetto isolante contro l’umidità. Ciò a conferma del principio secondo cui la Natura tenta sempre e comunque in modo organico di risolvere più problemi contemporaneamente. La Natura usa anche moltissimi involucri filati con qualità simili al Goretex©, come le larve delle farfalle, che vengono imprigionate in un tessuto che lascia passare la luce, l’aria ma non l’acqua.
Un
caso in questo senso straordinario, anche per gli sviluppi che ha avuto
per la ricerca e la sperimentazione sull’involucro architettonico
innovativo e bioclimaticamente polivalente, è quello rappresentato dal
pelo degli orsi bianchi polari. In realtà il pelo dell’orso non è
bianco, ma è trasparente. Esso svolge anche, ma non solo, il ruolo di
protezione termica nelle regioni polari, attraverso una mutazione
graduale operata a partire dagli orsi bruni. In effetti, se si osserva
un orso polare da vicino, si può notare che ha un pelo dorato
trasparente molto singolare, il naso nero, e una pelle scura che
verrebbe alla luce se si radesse il pelo. I suoi peli sono in realtà dei
tubolari trasparenti, cavi, cilindrici, la cui funzione è duplice:
catturare i raggi luminosi verso la cute interna, ove la pelle è scura e
può accumulare calore (la temperatura sulla cute scura dell’orso polare
può arrivare d’inverno fino a +70° C) ed impedire la dispersione del
calore così accumulato, Ai peli dell’orso polare si è ispirato Thomas Herzog per ideare (e brevettare) l’ormai famoso sistema tecnologico TWD (Transluzente Waerme Daemmung, letteralmente: “Isolamento termico trasparente”) per l’involucro architettonico. Scrive Herzog: «Il sistema è semplicissimo e geniale allo stesso tempo. In ogni caso, va detto che dal punto di vista, per così dire, tecnologico-prestazionale, il rendimento energetico non è complessivamente ancora all’apice dell’evoluzione naturale dell’orso: tra due milioni di anni il suo pelo probabilmente diventerà il più efficace dispositivo di collettore termico che oggi si possa anche solo immaginare». Qualcosa di simile si trova anche in altri esseri viventi: i Cercopidi, ad esempio, producono una schiuma albuminosa per proteggere le loro crisalidi. La schiuma in qualità di protezione termica trasparente genera un microclima, analogo a quello che nelle Alpi molte piante creano con uno strato “peloso” trasparente o semitrasparente che, consentendo l’aumento di temperatura, prolunga la breve vita stagionale della vegetazione. Una ulteriore strategia della Natura per ottimizzare il bilancio energetico è il comportamento del bradipo che si muove molto poco, rimanendo per lo più appeso a qualche albero a dormire. Questa è una indicazione interessante anche per gli architetti: si dovrebbero costruire città in modo tale che gli uomini non siano costretti a viaggiare a lungo per raggiungere il posto di lavoro oppure non debbano spostarsi troppo. Con una linea progettuale che tenga conto di questo semplice input, un intero universo, nei termini dell’abitare e del vivere l’urbano, si potrebbe ottimizzare in relazione al consumo energetico. E’ stato osservato che l’architettura tradizionale umana si è sviluppata in modo spesso molto simile alla Natura nel trovare soluzioni tecniche, attraverso progressivi cambiamenti. I popoli primitivi hanno sviluppato con l’esperienza modalità bioclimatiche di costruire molto raffinate. L’Iglù rappresenta ad esempio il principio della più piccola superficie esterna con il massimo spazio interno, collegato al fatto che la neve ed il ghiaccio sono ottimi isolanti, poiché conducono male il calore. Non a caso l’iglù è costruito in modo tale che l’entrata si trovi molto in basso, mentre lo spazio abitabile si trovi più in alto, dove tende a raccogliersi l’aria calda.
In Islanda, analogamente, le case vengono ricoperte di grasso, sfruttano il beneficio che arreca loro l’essere collocate parzialmente interrate, e impiegano l’effetto della protezione isolante ottenuta naturalmente per mezzo di strati di terra coperti d’erba che involucrano fittamente le cavità aeree. Viceversa, nell’architettura tradizionale araba, troviamo edifici molto alti e fittamente incastrati l’uno nell’altro per ridurre l’incidenza della luce, aumentare le zone d’ombra perenne e favorire una circolazione naturale di aria fresca.
Scrivono Richard E. Leakey e Roger Lewin: «Nell’evoluzione
dell’architettura tradizionale spontanea in climi freddi si può
osservare come d’inverno, a fronte della rigidezza delle temperature
esterne, si sia cercato il più possibile di riscaldare l’interno e
parallelamente di sfruttare gli spazi esterni con l’uso di
tamponature a chiusura ermetica» (quelli che oggi vengono
definiti, buffer spaces, “spazi di cuscinetto termico”).
Anche in condizioni antitetiche, ad esempio quelle tropicali, si è fatta molta attenzione all’uso dei materiali, impiegando quelli con una scarsissima capacità termica affinché non venisse raccolto troppo calore soprattutto nelle stagioni calde. Anche l’inclinazione del tetto degli edifici è un fattore molto importante: ad esempio per mezzo di una adeguata scelta della pendenza nelle regioni fortemente nevose, lo strato di neve può conservarsi a lungo sul tetto e fungere da isolante. Proseguono i due studiosi: «Gli architetti dovrebbero perseguire instancabilmente una progettazione e realizzazione che, dal punto di vista energetico, siano definibili il più possibile passive. La casa deve regolarsi completamente da sola, deve cavarsela da sola con il proprio ambiente. Solo a fronte di altre e peculiari necessità dovrebbero essere mobilitati per l’architettura umana i cosiddetti sistemi attivi. Per il resto, basta osservare la Natura per apprendere la corretta via del costruire ecocompatibile: proprio nei sistemi di captazione attiva dell’energia della luce del sole e della sua trasformazione in combustibile, la Natura (ad esempio attraverso le foglie delle piante) ha raggiunto una incredibile perfezione, cosa che le tecniche future attraverso la combinazione di cellule fotovoltaiche e cellule elettrolitiche potrebbero garantire». è stato osservato spesso come la perfezione della Natura si rispecchi nella perfezione del comportamento bioclimatico delle foglie delle piante verdi. La pianta sintetizza e ricicla le sue cellule solari a seconda della temperatura dell’ambiente. Gli strati di luce che si convertono sono 10.000 volte più sottili delle nostre cellule fotovoltaiche e la pianta può ancora permettersi di gettarli via ogni anno. Molte piante inoltre muovono le loro foglie seguendo i movimenti del sole, protendendosi verso di esso per raccogliere più luce o ripiegandosi quando la luce è troppo forte. La capacità delle piante di disporre dell’irraggiamento solare dal punto di vista termico e luminoso come un approvvigionamento d’energia risulta pertanto ineguagliabile: «Per quanto riguarda l’ambito della produzione di energia sfruttando i raggi solari e di applicazione di combustibili, la nostra tecnologia è in confronto alle esperienze della Natura decisamente ancora ai primi passi», ha affermato Frei Otto. Per un’architettura che svolga correttamente e consapevolmente il suo ruolo di “Terzo Ambiente” (James M. Fitch), «capace di adattarsi, di interpretare e di rispettare le esperienze di entrambi i mondi, quello umano artificiale e quello naturale» sarebbe quindi necessario approfondire lo studio sull’incredibile capacità di adattamento che, a fronte di qualsiasi situazione climatica e ambientale, il mondo vegetale ha sempre dimostrato, da molto tempo prima che comparisse qualsiasi forma di vita animale.
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